Fra malattia di Parkinson e apnee ostruttive del sonno esiste un rapporto bidirezionale in grado di peggiorare entrambe le condizioni
È stato osservato che le apnee ostruttive del sonno esacerbano i sintomi motori e non motori della malattia di Parkinson e che quest’ultima può determinare una neurodegenerazione capace di ridurre il controllo respiratorio neurale, innescando così un circolo vizioso che accelera la progressione di entrambe le condizioni
Diversi studi clinici sembrano aver dimostrato l’esistenza di un rapporto bidirezionale fra malattia di Parkinson e apnee ostruttive del sonno (OSA). Per esempio è stato osservato che la prevalenza di OSA nei soggetti con malattia di Parkinson è quasi doppia rispetto a quella nella popolazione generale.
I soggetti con malattia di Parkinson hanno un’incidenza di OSA 1,92 volte superiore e quelli con OSA un’incidenza di malattia di Parkinson 1,54 volte superiore rispetto ai soggetti sani.
Inoltre le OSA sembrano in grado di peggiorare i sintomi motori, come dimostra un punteggio alla Unified Parkinson’s Disease Rating Scale (UPDRS) del 20% più alto nei pazienti con malattia di Parkinson e OSA.
Parallelamente proprio le manifestazioni motorie che possono coinvolgere i muscoli faringei e il loro coordinamento possono ridurre il controllo neurale del respiro e promuovere un malfunzionamento delle vie aeree superiori, peggiorando le OSA.
Ulteriore prova a supporto del legame bidirezionale fra malattia di Parkinson e OSA viene dai sintomi cognitivi. È stato infatti osservato che i soggetti con malattia di Parkinson e disturbi cognitivi gravi presentano un indice di apnea-ipopnea (AHI) – utilizzato per valutare la gravità delle OSA – significativamente superiore rispetto a quello in soggetti con disturbi cognitivi lievi, a indicare che il deterioramento cognitivo aggrava le OSA.
Dal punto di vista fisiopatologico, si ritiene che le alterazioni molecolari indotte dalle OSA promuovano l’accumulo di α-sinucleina nella substantia nigra e la sua aggregazione in fibrille. Più nel dettaglio, l’ipossia intermittente indotta dalle OSA favorisce lo stress ossidativo, l’infiammazione (attraverso TNF-α, IL-1β e IL-6) e l’apoptosi dei neuroni.
Anche la frammentazione del sonno sembra influire sull’accumulo dell’α-sinucleina: l’interruzione del sonno REM, infatti, limita la capacità del sistema glinfatico di “ripulire” il cervello dall’α-sinucleina che, quindi si accumula e, unitamente a uno stato infiammatorio, accelera la morte neuronale dopaminergica.
Ma l’accumulo di α-sinucleina ha un impatto negativo anche sulle OSA: la degenerazione dopaminergica, infatti, riduce il drive respiratorio, quindi l’intensità dell’attività dei centri respiratori nel cervello, e intacca la risposta cerebrale all’ipossia. I deficit colinergici che derivano dalla vulnerabilità dei neuroni colinergici proprio all’ipossia frammentano ulteriormente il sonno REM e il normale pattern respiratorio, alimentando un circolo che porta alla progressione di OSA e malattia di Parkinson.

Modificato da Fig. 1, Wang JDJ, Chua NYM, Chan L-L, Tan E-K, Int J Mol Sci 2025;26(8):3762
Ma il legame fra OSA e malattia di Parkinson ha anche un altro esito negativo, ovvero la difficoltà nel determinare da quale dei due disturbi siano causati primariamente alcuni sintomi, così da poter avviare il trattamento più appropriato. È il caso di sintomi come fatigue, declino cognitivo, disturbi del sonno e dell’umore, bradicinesia e disfunzioni autonomiche, che si possono manifestare in entrambe le condizioni. Vi è quindi urgente bisogno di biomarcatori e criteri diagnostici più accurati: nel frattempo è possibile ricorrere alla polisonnografia, preferibilmente da associare a una valutazione neurocognitiva completa che includa domini cognitivi, esecutivi e sociali.