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Sembra esistere un legame bidirezionale fra microbiota intestinale e carcinoma prostatico, ma servono ulteriori studi per poterlo sfruttare in pratica clinica

Una review ha provato a fare il punto su quanto noto a ora in merito al legame fra microbiota intestinale, in particolare la condizione di disbiosi, e lo sviluppo e la progressione del carcinoma prostatico. Sono stati identificati gli elementi principali che supportano tale legame, ma non è ancora possibile traslare tali conoscenze alla pratica clinica e quindi ipotizzare eventuali interventi preventivi


Recenti evidenze sembrano supportare la capacità del microbiota intestinale di influenzare varie patologie non oncologiche che colpiscono la prostata, tra cui prostatite e ipertrofia prostatica benigna.

Variazioni nella composizione del microbiota intestinale e interazioni con il sistema immunitario si registrano in tutte le fasi della vita, dalla nascita (tipo di parto) all’età adulta.

Come si rapportano invece fra loro microbiota e carcinoma prostatico?

Un gruppo di clinici ha condotto una review della letteratura, dalla quale è emerso che una condizione di disbiosi, spesso dovuta a cattive abitudini alimentari o conseguente all’utilizzo di antibiotici, può sostenere l’infiammazione sistemica e ostacolare l’immunità antitumorale, favorendo quindi lo sviluppo e la progressione del carcinoma prostatico. In particolare lo squilibrio fra le specie microbiche guida l’attivazione di cellule immunitarie, determinando livelli elevati di citochine pro-infiammatorie come l’IL-6, e si associa a un’aumentata produzione di insulin-like growth factor-1 (IGF-1) da parte del fegato che, combinata con l’ambiente già pro-infiammatorio, promuove lo sviluppo e la progressione del carcinoma prostatico.

Infine la disbiosi può determinare una diminuzione degli acidi grassi a catena corta (SCFA) “positivi”. Infatti se alcuni SCFA possono favorire l’immunità e promuovere l’autofagia delle cellule cancerose e la polarizzazione intratumorale dei macrofagi verso il fenotipo M2, altri possono fungere da substrato per la produzione di ATP, che sostiene la crescita tumorale, oppure promuovere l’espressione di PD-L1, favorendo così l’evasione immunitaria del tumore.

Un caso particolare è quello del butirrato. Come l’acetato e il propionato è un ligando naturale di OR51E2, un recettore espresso dalle cellule dell’epitelio intestinale e del carcinoma prostatico. Agendo come immunomodulatori metabolici promuovono la funzione delle cellule T effettrici e quindi l’immunità. Tuttavia recentemente è emerso che il butirrato promuove la differenziazione delle cellule T regolatorie periferiche nella lamina propria del colon, facendo ipotizzare che tali cellule possano migrare nel flusso sanguigno e nel microambiente tumorale durante la progressione del carcinoma prostatico, sopprimendo così l’attività antitumorale.

La letteratura sembra poi dimostrare che il microbiota intestinale interferisca con il carcinoma prostatico anche nel momento in cui si procede al trattamento della patologia. Per esempio una diminuzione della diversità alfa (diversità microbica all’interno di una specifica comunità) prima di una prostatectomia radicale si associa a un aumento del volume e dell’aggressività del tumore. La terapia di deprivazione androgenica (ADT), invece, può determinare un aumento di Ruminococcus gnavus e Bacteroides acidifaciens, che sono in grado di convertire precursori come il pregnenolone in testosterone attraverso l’enzima intestinale CYP17A1-like. Ne deriva quindi la produzione di androgeni nonostante l’implementazione di una ADT, con promozione della crescita tumorale e sostegno allo sviluppo di un carcinoma prostatico resistente alla castrazione.

E se il legame fra microbiota intestinale e carcinoma prostatico fosse bidirezionale e quindi fosse il tumore stesso a interferire con l’eubiosi? Questa domanda è sorta recentemente sulla scorta di quanto emerso da studi in altre neoplasie, che hanno per esempio evidenziato che la risposta indotta dallo stress da cancro può portare all’atrofia della mucosa dell’ileo, aumentare la permeabilità intestinale e indurre una disbiosi caratterizzata soprattutto da Clostridium spp. in grado di promuovere la crescita tumorale. Nel caso specifico del carcinoma prostatico servono ulteriori studi longitudinali e di ampia numerosità campionaria per comprendere meglio le dinamiche temporali legate alle alterazioni del microbiota.

Altra domanda emersa recentemente è se vi sia la possibilità di sfruttare il cross-talk fra microbiota intestinale e carcinoma prostatico. Sono state proposte varie soluzioni, dalla somministrazione di prebiotici e probiotici per favorire la salute intestinale al trapianto di microbiota fecale da donatori sani per tornare a una condizione di eubiosi, soprattutto nei soggetti con carcinoma prostatico resistente alla castrazione.
Purtroppo a oggi permangono varie difficoltà nel traslare i risultati ottenuti in studi pre-clinici alla pratica clinica e non sono ancora stati identificati dei biomarcatori predittivi in grado di indicare i pazienti che potrebbero beneficiare di tali interventi.

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Modificato da Fig. 4, Laaraj J, et al. Trends Mol Med 2025;31(9):778-800