Negli ultimi anni si è sempre più affermata una nuova figura nel panorama lavorativo internazionale, che fa del marketing il suo sostentamento: si tratta degli influencers.
Se inizialmente questa figura era stata accolta con scetticismo in vari settori, è ormai diventata un vero e proprio lavoro, che aiuta brand più o meno grandi ad affermarsi sempre più sul mercato, facilitando il marketing diretto tra azienda e consumatore.
Sono ormai la maggioranza i settori che sfruttano queste figure, mentre il settore farmaceutico ne rimane terribilmente estraneo. Ovviamente, come sempre, quando si tratta di marketing del farmaco, entrano in gioco diverse questioni etiche, e, come vale per la pubblicità, il rischio di enfatizzare i benefici di un farmaco piuttosto che di un altro, possono portarsi dietro strascichi di disinformazione se non addirittura legali.
Bisognerebbe però domandarsi se la strada di utilizzare gli influencers non sia, per un certo verso, ineluttabile. In tutta la società moderna si sta andando infatti incontro a una perdita di credibilità delle autorità, perdita di cui ne risentono anche i medici. Ormai la prassi di un paziente è quella di cercare i sintomi su Google e procedere ad un’automedicazione. Questo approccio deriva anche dal fatto che molto spesso il paziente ha a disposizione tempi molti brevi per spiegare il suo malessere: un recente sondaggio ha riportato che il 51% dei medici impiega solo dai 9 ai 16 minuti per una visita. Motivo per cui i pazienti, sentendosi liquidati, si rivolgono sempre più spesso ad internet.
Come riporta uno studio di Fox Ward e O’Rourke, nel world wilde web si creano delle vere e proprie community dove i pazienti si confrontano tra di loro, e tra questi alcuni diventano dei “pazienti esperti” che finiscono per incarnare l’autorità medica, quando in realtà, per ovvie ragioni, mancano di competenze. Questi “patient advocates”, ossia “difensori dei pazienti”, possono essere quindi accumunati alla figura dell’influencer, che attraverso il suo brand e il suo stile di vita, promuove una soluzione ai problemi del cliente, e, in questo caso, ai problemi del paziente.
Sono delle figure con un grande potere persuasivo in mano e che proprio per questo, possono risultare molto pericolose generando disinformazione. Proprio per questo motivo la via dell’influencer sembra essere ineluttabile: per proteggere i pazienti da loro stessi, l’ambiente farmaceutico dovrebbe affiancarsi a queste figure e sfruttarle per promuovere farmaci controllati, testati e, soprattutto, non nocivi per i pazienti.