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Le barriere che limitano una gestione ottimale della BPCO dipendono da fattori legati al paziente, al suo rapporto con il curante e al modello sanitario

Gli autori di una review raccomandano che i futuri modelli di cura della BPCO siano personalizzati, favoriscano cambiamenti comportamentali del paziente, identifichino e trattino le comorbilità e facciano propri esiti che misurano la qualità della cura


Le best practices per la gestione della BPCO prevedono il coinvolgimento di un team di esperti che includa non solo lo pneumologo ma anche tutte quelle figure specialistiche in grado di consentire una presa in carico globale del paziente. Purtroppo nella real life può capitare che questo obiettivo non sia raggiunto: quali sono le motivazioni?

Secondo diverse review sistematiche i tassi di non aderenza al trattamento farmacologico della BPCO variano dal 22% al 93%.

Per rispondere a questa domanda è stata condotta una revisione della letteratura secondo un approccio “umbrella review” modificato.

Dai 56 lavori analizzati è emerso che le barriere che ostacolano un’ottimale presa in carico del paziente possono essere distinte in diversi sottogruppi: fattori legati al paziente, attenzione del clinico, relazione medico-paziente e fattori psicologici e, infine, tipologia di modello sanitario.

Nel primo sottogruppo si può includere la percezione della gravità di malattia da parte del paziente. Tale percezione, infatti, può influire sulla volontà del paziente ad aderire a un percorso di cura spesso non semplice. Per questo motivo la gravità della BPCO non dovrebbe essere rilevata unicamente attraverso misure soggettive riportate direttamente dal paziente, ma tramite la spirometria e test quali la Modified Medical Research Council Dyspnea Scale (mMRC) e il COPD Assessment Test (CAT).

In questo ambito, un aiuto per aumentare l’aderenza alla terapia può venire dalla presenza di un caregiver informale, che però non deve essere troppo invadente per evitare che il paziente ne diventi dipendente. Si possono poi aggiungere strumenti per una migliore comprensione della terapia e dell’effetto dei farmaci da parte del paziente, una maggior fiducia da parte di quest’ultimo nei farmaci e nell’esperienza del curante, la riduzione del numero di device e inalazioni e la verifica costante della tecnica inalatoria.

grafico

Elaborazione grafica da testo, Siu DCH, Gafni-Lachter L. Int J Chron Obstruct Pulmon Dis. 2024;19:331-41


Per quanto concerne il sottogruppo legato all’attenzione del clinico, particolare cura deve essere posta nell’evitare l’inerzia clinica, mentre in quello dedicato al rapporto medico-paziente si ricorda come la qualità di tale interazione possa influenzare non solo l’aderenza alla terapia ma anche, di conseguenza, l’efficacia del trattamento e la possibilità di riprendere attività motorie e sociali abbandonate a causa della malattia. Serve quindi un’alleanza terapeutica che porti il paziente a sospendere l’abitudine tabagica e a esporre tutti gli aspetti legati al suo vissuto della malattia, compresi quelli psicologici come ansia, depressione e senso di isolamento sociale.

Infine, per quanto riguarda il modello sanitario risultano evidenti le barriere rappresentate dalla distanza del centro di riferimento dall’abitazione del paziente, dai costi e dalle modalità di accesso ai servizi. Per ovviare a tali difficoltà potrebbe essere utile una maggiore implementazione della telemedicina, così come di programmi di educazione e monitoraggio almeno parzialmente autogestiti dal paziente.

Gli autori di questa review concludono raccomandando che i futuri modelli di cura siano personalizzati, consentano un’educazione del paziente mirata a cambiamenti comportamentali, identifichino e trattino le comorbilità e includano esiti che misurano la qualità della cura, anche supportati dalla telemedicina. È inoltre necessario implementare un processo di feedback per valutare costantemente i risultati raggiunti dal paziente nel momento in cui gli siano stati affidati dei compiti in parziale autogestione.

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