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Tra i disturbi non motori nella malattia di Parkinson un ruolo importante è rivestito dall’insonnia, la cui fisiopatologia è da attribuirsi principalmente ai cambiamenti neurodegenerativi associati all’accumulo di alfa-sinucleina

Una recente review della letteratura si è concentrata sull’insonnia nella malattia di Parkinson: ne è emerso che questo disturbo del sonno non solo ha un impatto significativo sulla qualità della vita dei pazienti, ma è anche associato a deterioramento cognitivo ed emotivo e a disabilità motoria


La malattia di Parkinson si associa a sintomi motori e non motori: tra questi ultimi, i disturbi del sonno hanno una rilevanza particolare. Globalmente, i disturbi del sonno interessano dal 64% al 90% dei soggetti con malattia di Parkinson e si manifestano come insonnia (27-80%), eccessiva sonnolenza diurna (20-60%), sindrome delle gambe senza riposo (4-15%) e disturbo comportamentale del sonno REM (33-46%).

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Elaborazione grafica da testo

Per quanto concerne l’insonnia, più dell’80% dei pazienti lamenta una frammentazione del sonno, il 18% difficoltà ad addormentarsi e il 40% risvegli precoci. Queste condizioni dipendono da molteplici fattori. Infatti i sintomi motori, come i tremori, la rigidità e l’acinesia possono interrompere il sonno, così come i sintomi non motori quali fatigue, depressione, ansia e disturbi autonomici. A questi si devono poi aggiungere disfunzioni come la nicturia e sintomi gastrointestinali, oltre a una disregolazione interna del ritmo circadiano.

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Elaborazione grafica da testo

Dal punto di vista fisiopatologico è stato osservato l’accumulo di alfa-sinucleina in diverse regioni del tronco encefalico, tra cui le aree in cui risiedono cellule in grado di inibire (REM-off) o favorire (REM-on) il sonno REM, alterandone la regolazione, nell’ipotalamo, modificando le aree legate alla sonnolenza e all’insonnia, e nell’amigdala, anch’essa coinvolta nella regolazione del sonno.

È stata registrata anche una relazione bidirezionale fra i geni clock e l’attività neuronale dopaminergica, altra potenziale causa di insonnia nella malattia di Parkinson. Più nel dettaglio, l’accumulo di alfa-sinucleina nel nucleo soprachiasmatico compromette il corretto funzionamento dei geni clock, che a sua volta influisce negativamente sul ritmo circadiano. Ma non solo. La malattia di Parkinson ha un impatto diretto sui neuroni dopaminergici, a loro volta in grado di regolare i geni clock interferendo con la trascrizione degli stessi.

Sulla base delle evidenze emerse dalla ricerca, come è possibile intervenire? Per prima cosa è necessaria una diagnosi clinica di insonnia in corso di malattia di Parkinson e per giungere a tale diagnosi è necessario ricorrere a una combinazione fra storia clinica del paziente, questionari legati alla qualità del sonno (come il Pittsburgh Sleep Quality Index [PSQI] e la Parkinson’s Disease Sleep Scale [PDSS-2]) e metodi di monitoraggio oggettivi come la polisonnografia e l’actigrafia.

Diagnosi clinica dell’insonnia nella malattia di Parkinson:
storia clinica del paziente + PSQI o PDSS-2 + polisonnografia o actigrafia.

In secondo luogo è importante capire se si è di fronte a un’insonnia primaria, ovvero una condizione non causata dalla malattia di Parkinson e molto simile all’insonnia che si registra nella popolazione generale, oppure a un’insonnia secondaria, quindi dovuta alle comorbilità che si associano ai sintomi motori e non motori della malattia di Parkinson.

A questo punto si può impostare una gestione complessiva dell’insonnia che faccia ricorso a trattamenti farmacologici e non farmacologici (pur con la consapevolezza che mancano ancora raccomandazioni specifiche a questo proposito). Tra questi ultimi, l’intervento più efficace sembra essere la terapia cognitivo-comportamentale specifica per l’insonnia, che si compone di 5 elementi: consolidamento del sonno, controllo degli stimoli, ristrutturazione cognitiva, igiene del sonno e tecniche di rilassamento.

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