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Gli inquinanti atmosferici possono interferire nello sviluppo e nella progressione del carcinoma prostatico attraverso l’interazione con 5 geni specifici

Un recente studio ha valutato i rapporti fra 7 comuni inquinanti atmosferici, i geni target di tali inquinanti e quelli correlati al carcinoma prostatico, evidenziando come vi sia un legame stabile soprattutto nel caso di 5 geni specifici, coinvolti specialmente nei processi biologici che regolano la risposta infiammatoria, il signaling dell’apoptosi, la risposta all’ipossia e la biosintesi


Età, etnia e famigliarità sono noti fattori di rischio per lo sviluppo di carcinoma prostatico, ma negli ultimi anni a questi si stanno affiancando altri elementi quali fattori ambientali, dieta e stile di vita, benché il loro impatto non sia ancora completamente chiarito.


Il carcinoma prostatico è la seconda neoplasia più comune fra gli uomini a livello globale, con un’incidenza massima in alcuni Paesi occidentali.


Un gruppo di clinici si è quindi proposto di valutare più nel dettaglio il possibile ruolo di un’esposizione prolungata a inquinanti atmosferici sul rischio di sviluppare carcinoma prostatico.


Attraverso tecniche di network toxicology, docking molecolare e machine learning sono stati analizzati i rapporti fra 7 comuni inquinanti atmosferici (benzene, SO₂, NO, CO, NO₂, toluene e O₃), i geni umani target di tali inquinanti e i geni correlati al carcinoma prostatico.


Incrociando i dati disponibili sono stati identificati 48 geni in comune fra target degli inquinanti e legati alla malattia prostatica. In generale questi geni sono coinvolti in processi biologici come la risposta infiammatoria, il signaling dell’apoptosi, la risposta all’ipossia e la biosintesi. È stato inoltre registrato l’arricchimento di importanti pathway coinvolti nella carcinogenesi virale, nel metabolismo lipidico, nell’aterosclerosi e nella resistenza insulinica, nell’apoptosi e nel signaling estrogenico.

I geni che si sono associati in modo significativo alla prognosi nei pazienti con carcinoma prostatico e quindi potrebbero diventare dei biomarcatori utili per predire la sopravvivenza del paziente sono 5: HDAC6, CDK1, DNMT1, NOS3 e DPP4.

Nei tessuti di carcinoma prostatico è comunemente osservata una sovra-espressione di HDAC6, la cui aumentata attività può promuovere la progressione di malattia favorendo la proliferazione e l’invasione cellulare e inibendo l’apoptosi. Questo gene è anche in grado di modulare il signaling dei recettori degli androgeni, influenzando così la sensibilità del carcinoma prostatico alla terapia ormonale.

Anche CDK1 risulta sovra-espresso e la sua attività non più regolata promuove una proliferazione cellulare anomala e l’instabilità genomica. Questo gene esercita un ruolo anche a livello di riparazione del DNA danneggiato, evasione dall’apoptosi e invasione cellulare, contribuendo alla progressione del carcinoma prostatico e alla formazione di metastasi.

La stessa osservazione è valida per DNMT1, la cui aumentata attività può promuovere la carcinogenesi silenziando i geni oncosoppressori attraverso una metilazione anomala. DNMT1 influenza anche l’invasività cellulare e la resistenza al trattamento modulando il signaling dei recettori degli androgeni e network epigenetici.

Particolarmente importante risulta essere NOS3: regola infatti l’angiogenesi, la proliferazione cellulare, l’apoptosi e l’infiammazione catalizzando la produzione di NO. Inoltre variazioni nell’attività di tale gene possono influire sul microambiente tumorale, per esempio a livello di angiogenesi e stress ossidativo, favorendo così la crescita del tumore e la formazione di metastasi. È interessante osservare anche come il pathway NO/eNOS(enzima codificato da NOS3) possa esercitare un duplice ruolo: quando l’attività di eNOS è moderata, infatti, si assiste a un’inibizione della progressione tumorale grazie all’apoptosi indotta, mentre quando la produzione di NO è eccessiva la carcinogenesi risulta accelerata a causa dei maggiori danni al DNA e infiammazione.

Infine DPP4 regola il signaling cellulare attraverso il clivaggio di diversi peptidi bioattivi, influenzando così la proliferazione cellulare, la migrazione, l’apoptosi e la modulazione immunitaria. Quando eccessivamente espresso, come nel caso del carcinoma prostatico, può promuovere la progressione di malattia favorendo l’evasione immunitaria e lo sviluppo di infiammazione nel microambiente tumorale.

Infine le analisi di docking molecolare confermano che tutti questi 5 geni possono legarsi in modo specifico ai 7 inquinanti atmosferici e che legami più stabili risultano esistere fra NOS3 e benzene e fra HDAC6, DPP4 e NOS3 con toluene.


Energia di legame (kcal/mol) secondo l’analisi di docking molecolare (legame spontaneo se energia <0 kcal/mol; legame stabile se energia < -5 kcal/mol)

BenzeneSO2NOCONO2TolueneO3
CKDI-3,9-2,4-2,3-1,9-3,2-4,1-2,9
HDAC6-4,9-2,9-2,9-2,0-3,9-5,3-3,7
DNMT1-4,1-2,6-2,9-2,0-3,4-4,6-3,1
DPP4-4,2-2,7-2,9-2,0-3,7-5,0-3,2
NOS3-5,4-2,6-2,8-2,0-3,6-6,0-3,5



In sintesi questo studio ha dimostrato l’esistenza di 5 geni specifici che possono fungere da collegamento fra inquinamento atmosferico e sviluppo di carcinoma prostatico: è quindi ora necessario proseguire con la ricerca per determinare se tali geni potranno diventare target molecolari per una valutazione prognostica precoce o per terapie mirate.
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