Ogni anno si registrano 49 milioni di nuovi casi di sepsi e 11 milioni di morti a livello globale.
Ma qual è lo stato di salute dei principali ospedali europei e come sono organizzati per far fronte alla sepsi e a questa richiesta di maggiore impegno? Per rispondere a questa domanda tra il 2021 e il 2022 è stata condotta una survey online internazionale (European Sepsis Care Survey), a cui hanno risposto ben 1.023 ospedali di 69 Paesi, di cui 835 in Europa: i dati raccolti, purtroppo, non sono incoraggianti.
Già a livello di definizione di sepsi si registrano delle differenze. Infatti il 45,4% degli ospedali fa ricorso ai criteri Sepsis-3, impiegati maggiormente in nord e sud Europa rispetto all’Europa orientale e occidentale e negli ospedali universitari rispetto a quelli non universitari.
L’implementazione di uno screening standardizzato per un’identificazione precoce della sepsi si è registrata nel 54,2% dei reparti di urgenza, nel 47,9% degli altri reparti e nel 61,7% delle UTI. Inoltre tale screening viene effettuato quotidianamente nel 51% dei reparti e nel 75,8% delle UTI.
Nei reparti, anche d’urgenza, in cui tale screening viene applicato, i criteri adottati includono la frequenza respiratoria, la pressione arteriosa, la temperatura corporea, la frequenza cardiaca e alterazioni mentali; nelle UTI si aggiungono anche i lattati.
Gli ospedali che ricorrono ai criteri Sepsis-3, inoltre, tendono ad applicare maggiormente il punteggio rapido Sequential Organ Failure Assessment, soprattutto nelle UTI.
Altro dato interessante evidenzia come circa l’80% di chi opera negli ospedali del nord Europa abbia indicato la presenza di un team di medicina di emergenza in grado di dare supporto per un’identificazione precoce dei pazienti critici; in tutte le altre aree geografiche la disponibilità di tale team è notevolmente inferiore.